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Quando il brand vince sulle preferenze esplicite: il caso della Pepsi Challenge

Uno degli obiettivi principali a cui si vuole pervenire quando si imposta uno studio di neuromarketing è sicuramente quello di aggiungere valore ai dati che potrebbero fornirci le tradizionali tecniche di ricerca di mercato.

È infatti ormai noto a tutti come il neuromarketing, servendosi di strumentazioni innovative, miri a produrre un quadro più esaustivo dell’esperienza di acquisto dei consumatori aggiungendo alle rivelazioni esplicite una mole sostanziale di dati bio-fisiologici a sostegno delle stesse.

E non è affatto un mistero che le metodologie classiche di ricerca di mercato (interviste, questionari, focus group, ecc.) non siano in grado, da sole, di cogliere le preferenze automatiche, inconsce e spesso irrazionali che oggi guidano le scelte di consumo degli individui.

Del resto fu lo stesso Ale Smidts, il direttore della Rotterdam School of Management che nel 2002 coniò il nome della disciplina, a definire il neuromarketing come «l’insieme delle tecniche di identificazione dei meccanismi cerebrali orientate a una maggiore comprensione del comportamento del consumatore per l’elaborazione di più efficaci strategie di marketing».

Ed è proprio a quella “maggiore comprensione” che puntavano i dirigenti di Pepsi-Cola Company quando nel 2004 hanno ingaggiato il neuroscienziato Read Montague e la sua equipe.

Tuttavia, per risalire alle vere origini di questa storia occorre fare un ulteriore salto indietro al 1975. In quell’anno la Pepsi decise di lanciare un esperimento sociale a scopo pubblicitario, chiamato Pepsi Challenge.

Il caso della Pepsi Challence

Centinaia di agenti sparsi per buona parte del territorio USA posizionarono un tavolino fuori dai più importanti centri commerciali e supermercati, invitando i passanti a bere da due bicchieri identici e anonimi contenenti bevande apparentemente simili ma non uguali.

Ovviamente uno dei due bicchieri in questione conteneva Pepsi, ed è altrettanto facile immaginare che l’altro contenesse Coca-Cola.

I due colossi del beverage si contendono infatti da vari decenni (e a colpi di pubblicità) un mercato che negli Stati Uniti d’America sfiora il valore di 70 miliardi di dollari, vale a dire quello dei soft drink.

I moltissimi consumatori coinvolti in questo contest non erano dunque a conoscenza di quale bicchiere contenesse Coca-Cola e quale Pepsi, situazione in genere denominata blind taste test (test cieco del gusto).

A ciascuno di essi fu in seguito chiesto quale tra le due bevande assaggiate avesse secondo loro il sapore migliore. Più della metà dei partecipanti dichiarò di preferire il gusto della Pepsi, la quale all’epoca deteneva una quota di mercato pari ad appena la metà della rivale. Nonostante questi sorprendenti risultati la Coca-Cola rimase, e rimane tutt’oggi, leader indiscusso di quel preziosissimo mercato.

 

Gli studi di Read Montague

Proprio al fine di chiarire questa incongruenza tra le preferenze rilevate riguardanti il gusto e le effettive scelte di acquisto dei consumatori americani, nel 2004 i dirigenti della Pepsi decisero di affidarsi a Read Montague e alla sua equipe di ricercatori, i quali si trovarono a rispolverare i risultati del primo Pepsi Challenge a distanza di quasi vent’anni.

Con l’ausilio della risonanza magnetica funzionale (fMRI), Montague impostò uno studio che coinvolse 67 partecipanti e si compose di più fasi.

Inizialmente, il neuroscienziato statunitense replicò esattamente l’esperimento originario, chiedendo ai soggetti di esprimere una preferenza su una delle due bevande dopo averle assaggiate ma senza essere a conoscenza di quale bevanda stessero assaggiando. L’unica importante differenza con il contest del 1975 consistette nel fatto che i soggetti furono scansionati a livello cerebrale durante la degustazione.

I risultati furono pressoché identici: più della metà dei soggetti riferì di preferire il gusto della Pepsi. La stessa cosa venne “riferita” anche dai loro cervelli, dato che si registrò un’intensa e piuttosto comune attività del putamen. Quest’ultimo consiste in una porzione cerebrale facente parte del cosiddetto “sistema di elaborazione delle ricompense”, la cui stimolazione è legata alla sensazione di piacere per via del rilascio del neurotrasmettitore dopamina che la stessa comporta.

Nella seconda fase dell’esperimento il ricercatore decise però di informare i partecipanti su quale

bevanda si apprestavano ad assaggiare, eliminando quindi la parte “blind” del test. Questa semplice ma non banale modifica del disegno sperimentale portò a risultati completamente differenti, dato che il 75% dei soggetti partecipanti affermò di preferire la Coca-Cola alla Pepsi.

Ma la scoperta più affascinante fu un’altra: nella seconda fase dell’esperimento non cambiò solamente il giudizio esplicito dei partecipanti, ma anche la sede della loro attività cerebrale. Oltre al putamen, infatti, si registrò un’intensa attività nell’area dorsolaterale della corteccia prefrontale e nell’ippocampo.

Quest’ultimo è considerato da molti come la struttura cerebrale maggiormente responsabile dei processi mnemonici e di recupero delle informazioni a breve e a lungo termine.

In altre parole, nella silenziosa gara tra pensiero emotivo e razionale, le associazioni positive implicite che il brand Coca-Cola ha innescato nei consumatori riuscirono ad avere la meglio sulla preferenza obiettiva e razionale espressa da questi ultimi per il gusto della Pepsi.

Un chiaro esempio di come il neuromarketing abbia contribuito a fornire una “maggiore comprensione” e una valida interpretazione dei comportamenti di consumo usufruendo di dati bio-fisiologici ottenibili unicamente tramite le strumentazioni proprie della disciplina.

 

Fonti:

  1. Gallucci, Neuromarketing. Seconda edizione, EGEA, Milano, 2016,
  2.  M. McCLure, J. Li, D. Tomlin, K. S. Cypert, L. M. Montague, P. R. Montague, Neural correlates of behavioral prefernce for culturally familiar drinks, “Neuron”, 14 Ottobre 2004, Volume 44, n. 2, pp. 379-387
  3.  Lindstrom, Neuromarketing. Attività cerebrale e comportamenti d’acquisto, Apogeo, Milano, 2009