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I Trigger che attivano le esperienze sensoriali

Tra le sensazioni più piacevoli c’è il recarsi al mattino al bar di fiducia, sapendo di essere accolti con un sorriso, un saluto, e serviti pressoché immediatamente con la propria colazione preferita. Che sia espresso e cornetto, o qualunque variazione sul tema, ci si sente a casa nel momento in cui il barista ci accoglie – quasi, ci vizia – presentandoci ciò che vogliamo, ma che, causa levataccia, probabilmente non riusciamo ancora ad articolare verbalmente.
Così accade anche (o accadeva) nel piccolo negozio all’angolo, quello dove ci si reca per avere un consiglio, non per accaparrarsi quasi alla cieca ciò che è in mostra sugli scaffali, per poi infilarsi da soli nei camerini e uscire magari a mani vuote.
Se il mondo del retail è in costante e visibile cambiamento già da tempo e il negoziante o il barista cambia volto ogni giorno e noi con loro, come si può ristabilire questo stesso rapporto di fiducia e fidelizzazione? Se alla boutique si sostituisce inequivocabilmente il grande magazzino e alla strada di paese quella di città, come si attrae un cliente all’interno di uno spazio che è percepito – quasi obbligatoriamente – come più freddo e impersonale?
Per certi versi, si fa leva sugli stessi sensi (e sentimenti) che vediamo sollecitati nello scenario descritto in precedenza: familiarità, personalizzazione, emozione sono la chiave per attirare e convincere anche l’acquirente più distratto o squattrinato. L’olfatto, in particolare, è uno dei sensi più importanti, in grado di generare risposte emotive e collegamenti con la memoria molto forti: non a caso viene stimolato in una varietà di luoghi e situazioni, dal ristorante al negozio di valigeria. Nel primo il profumo di limone pare trascinare le ordinazioni, mentre nel secondo caso quello del pellame porta alla mente immagini di lusso e comfort. Tra i casi più discussi c’è la catena di abbigliamento americana Abercrombie & Fitch, famosa per creare un’atmosfera tutta sua nei negozi attraverso bassa illuminazione e modelli in bella mostra, ma anche l’uso abbondante della sua fragranza “Fierce”, diffusa generosamente per anni, attraverso appositi impianti. Brand come la catena alberghiera Marriott hanno anche avuto l’accortezza di far sviluppare una propria profumazione – opportunamente chiamata “Subtle Sophistication” – che, fresca e agrumata, riporta alla mente degli ospiti l’idea di casa, siano essi in albergo per affari o piacere.
L’audio non è certo di secondaria importanza, ma accoglie la clientela non appena mette piede all’interno del locale: che sia in linea con lo spirito del brand e l’arredamento si fa essenziale, per contribuire a creare un ambiente accogliente, stimolante e coerente. La musica classica rilassante fa indugiare più a lungo le persone a tavola, portandole a togliersi lo sfizio di un buon dolce a fine pasto, mentre brani più ritmati ed energici stimolano un’attività più frenetica, invogliando le persone ad entrare e uscire più velocemente, magari da locali sempre affollati o negozi particolarmente gettonati.
A stimolare la vista ci pensa gran parte degli elementi che vivono nell’ambito del retail: dalle vetrine al packaging, dagli schermi in movimento alla segnaletica. Pionieri in questo senso sono stati marchi di lusso come Burberry che negli anni hanno implementato anche tecnologie innovative nei loro flagship store: provare un abito nei camerini si è trasformato così nell’esperienza unica e multimediale di vedere lo specchio trasformarsi in uno schermo in grado di mostrare la sfilata in cui quello stesso capo era stato presentato, creando un grande coinvolgimento. A livelli più accessibili, è il packaging a diventare il mezzo più usato per parlare alla clientela: cura nei materiali, accurata scelta di tonalità cromatiche e studiata presenza di elementi iconografici aiutano a catalizzare l’attenzione dell’occhio umano. Se è vero che il nostro cervello ci consente di analizzare e visualizzare in modo definito solo una parte di ciò che ci sta di fronte, allora diventa essenziale lavorare sulla perfetta leggibilità dell’elemento scritto e sfruttare l’immediatezza dell’immagine per essere più facilmente identificabili tra le mensole fitte di prodotti concorrenti.
Tutto questo viene tradotto anche nel mondo digitale: se non si può fare leva su tatto e olfatto, la connessione emotiva tra azienda e cliente si deve creare sfruttando l’elemento dello storytelling, da un lato, e un design accorto di pagine web e app che tengano in considerazione elementi quali la soglia di attenzione degli utenti e la loro pazienza, privilegiando così a volte l’immersione multimediale e a volte, invece, la più semplificata e ininterrotta strada verso l’obiettivo finale.
Le esperienze che abbiamo elencato, ma ce ne sono mille altre, hanno un qualcosa in comune: tecnicamente vengono chiamati “trigger”, sono proprio degli attivatori, come degli interruttori elettrici, ma si collegano alla nostra rete neurale; si fa “click” e il cervello reagisce, e ancor di più collega quell’esperienza positiva ad una predisposizione all’acquisto quanto più il “gusto” di quella sensazione si avvicina al gusto di colui che è stato “attivato”. Il marketing ai suoi più elevati livelli mondiali lo ha capito, e trova sempre più connessioni tra i trigger neurali emozionali con trigger sensoriali di valore soggettivo relativi ai prodotti, e i risultati che sono sempre più misurabili e sempre più precisi. E siamo di fronte a delle evoluzioni che portano verso strumenti sempre più potenti: i trigger non saranno più solo “fisici” e “digitali” (così come abbiamo sempre inteso questa “separazione”), ma anche un mix tra questi due estremi, per esempio con larealtà aumentata: è notizia recente che Instagram sta sviluppando soluzioni per far interagire il pubblico con esperienze sempre nuove, e ovviamente anche tutti gli sviluppi dell’intelligenza artificiale (AI) avranno un peso sempre più concreto e rilevante nell’interazione con gli utenti.
Non è più il momento di posizionare questi argomenti nella sfera del “futuro”, il futuro è qualcosa di cui non è mai stata confermata l’esistenza, è un trucco che allontana dall’affrontare i cambiamenti nel presente. E non ci sono aree che non siano investite da questa onda di innovazione: abbiamo citato il retail – dalla grande distribuzione alla bottega artigianale – ma possiamo parlare del settore del food (molto… molto vicino ai trigger emozionali, quelli del gusto sono infatti potentissimi), dei servizi, del turismo, del design, e di mille altri campi. Servono strategie da mettere in atto: ora avete un riferimento per iniziare questo percorso.
Abbiamo fatto rilevazioni in contesti abbastanza eterogenei, ma lo studio in assoluto più interessante è stato condotto in un Museo a Milano, dove abbiamo rilevato le reazioni di un campione di fronte alle opere di arte contemporanea. Un’esperienza emozionante ed entusiasmante perché ci ha permesso di comprendere come un’opera d’arte riesca a incidere a livello emozionale molto più di qualsiasi altra comunicazione, favorendo l’attenzione e suscitando emozioni più intense, ossia la base per la memorabilità di un’esperienza.
L’analisi della sfera emotiva sta facendo passi da gigante grazie alla tecnologia. L’accesso a sensori sempre più avanzati capaci di rilevare dati biometrici in modo sempre più affidabile apre scenari inimmaginabili alcuni anni fa.
Pensiamo ad esempio alla nostra interazione con le chat. L’unica modalità che abbiamo per esprimere le nostre emozioni è, ad oggi, mediante gli emoticon, ma, tra non molto, i sistemi di riconoscimento facciale, gli smartwatches e i braccialetti che indossiamo comporranno un profilo emotivo che potremo condividere con il nostro interlocutore.
Lo stesso potrà avvenire all’interno dei negozi o quando saremo davanti un espositore. Il negozio fisico potrà “adattarsi” in relazione alla reazione emotiva dei propri visitatori, con l’obiettivo di trasformarli in clienti.
Le soluzioni si evolveranno progressivamente verso un mix sempre più integrato di tecnologia e di interazione emotiva. Indagare le emozioni permette quindi di dare risposte concrete a ciò che le persone desiderano, anche quando non riescono ad esprimerlo. Reazioni autentiche e non mediate.

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