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Cosa vogliono i consumatori? Chiediamolo alla loro mente

Uno degli elementi più incredibili delle “innovazioni” è che – come per magia – appaiono davanti ai nostri occhi quando ci servono, quando ne sentiamo l’esigenza, ma poi scopriamo che già esistevano – magari in forme meno sofisticate – da sempre. Le scienze relative all’analisi dei comportamenti della mente umana, così dibattuta in questi ultimi anni, già nel 200 a.C. trovava delle intuizioni nel Nātyaśāstra, antico testo dedicato alle arti e allo spettacolo che ci regala questa bellissima interpretazione:
L’argomento di cui trattiamo su questo primo numero di Think è proprio legato a questo e ci deve far riflettere: la mente umana è davvero tanto complessa e ci permette di analizzare pensieri così elaborati che sono necessari strumenti sofisticatissimi per poterli decodificare. Una volta, queste qualità si potevano trovare solo nella sensibilità degli uomini “speciali”, che di solito erano (e sono) legati all’arte. Leonardo Da Vinci scrisse, nel suo Trattato della Pittura (l’originale è custodito in Vaticano, ma una copia digitale si trova qui: *http://www.treatiseonpainting.org/cocoon/leonardo/pages/vu/array*) segnalava che fra tutti i colori, i più gradevoli sono quelli in contrasto;in pratica, aveva già scoperto, nel 1500, una verità fisiologica (il principio della complementarità).Prima di addentrarci sul come sia possibile misurare alcune reazioni della mente, e di conseguenza in che modo poterne trarre un vantaggio concreto – leggasi: intercettare le esigenze, i pensieri e, di conseguenza, le tendenze future del mercato – è utile domandarsi perché oggi più di ieri affidarsi a sistemi che possono “scandagliare” la mente degli utenti, quando da sempre abbiamo avuto a disposizione percorsi di analisi molto popolari e usatissimi, specialmente (ancora) in Italia, e che rientrano nella sfera della ricerca di mercato. La risposta principale è che i desideri e quindi l’attenzione e la predisposizione all’acquisto sono legati per il 95% alla sfera dell’inconscio, e quindi quando si chiedono delle opinioni, di rendere oggettivo – tramite un sondaggio o un’intervista di una ricerca di mercato – quello che è stato vissuto e percepito, le persone tendono ad usare primariamente la razionalità che, appunto, risponde ad una componente che – pur oggettivamente presente nella memoria – di fatto rappresenta solo una porzione minima dell’intero processo mentale che si è sviluppato. Ma c’è di più: i criteri di segmentazione che sono sempre stati oggetto delle analisi di ricerca, tendono a perdere parzialmente di utilità: un esempio specifico è quello per esempio dell’età anagrafica: sempre di più gli studiosi, ma anche gli esperti di marketing, notano infatti che diventa sempre meno preciso dividere il mercato per categorie di età, perché sempre meno c’è una corrispondenza tra età “vera” e “invecchiamento” del cervello, mentre sempre più valore si sta dedicando all’analisi dei comportamenti che fanno riferimento agli impulsi che arrivano al cervello – per esempio questo testo, quelli di un blog o su Facebook, le migliaia di immagini che vediamo sui profili Instagram – producono effetti di stimolo costante e sempre crescenti. In pratica, abbiamo un pubblico che viene alimentato dalla secrezione di neurotrofine, che agiscono positivamente sui neuroni, e ne facilitano l’agilità psichica. Si invecchia meno, se si è sottoposti a tanti stimoli, e questi non sono direttamente legati all’età.
Le persone sono entrate in una post-modernità, di cui non completamente si rendono conto, e per istinto di “sopravvivenza” ricercano continuamente nuove informazioni e conoscenza per sentirsi in grado di “controllare” l’ambiente che lo circonda, e questo continuo bombardamento ricercato fa comprendere meglio il fenomeno e il successo degli smartphone, vero e proprio centro per raggiungere grandissime quantità di informazioni, e la soddisfazione e piacere che ne deriva da questo infinito e martellante flusso di stimoli mette in moto parti del cervello e viene alimentato dalla dopamina che ci trasmette desiderio e da una serie di neurotrasmettitori che, non a caso, portano il nome di oppioidi.
Senza scendere eccessivamente nella componente scientifica, che pur è di incredibile interesse (c’è qualcosa di più affascinante del come funziona la mente umana?) vogliamo giungere alla conclusione che oggi a causa o grazie all’evoluzione della tecnologia, ci siamo trasformati tutti e servono strumenti per comprendere meglio come analizzare i nostri comportamenti. Le scienze in grado di misurare – oggettivamente e con precisione – tali comportamenti diventano sempre più importanti perché intercettano il lato inconscio dei consumatori, e forniscono risposte su alcune loro reazioni emozionali: nei confronti di una pubblicità, genericamente di un messaggio, di una confezione (packaging), oppure di un ambiente. Il tutto, su tutti i canali – la comunicazione ormai è globalmente multicanale – e la finalità è quella di avere una misurazione per valutare e certificare il ritorno dell’investimento, la riduzione degli sprechi, la soluzione alle domande che il marketing si pone, non solo in relazione alle fasi di ideazione, di realizzazione, di comunicazione, di decisione all’acquisto, ma anche alle fasi di post vendita (soddisfazione del cliente) che ancora troppo poco viene presa in considerazione da molti manager che considerano “terminato” il processo con la “semplice” vendita.
Le strategie di comunicazione non possono più accontentarsi della “visibilità”: i consumatori “vedono” un numero impressionante di stimoli visivi; si stima, per fare un esempio concreto, che una visita in un supermercato, della durata di circa 30 minuti, mette in contatto visivo con circa 40 mila “immagini prodotto”, ma ne acquista solo 40 in media; questo significa che – sono numeri da capogiro, ogni secondo vengono “scartati” 22 prodotti, 1300 al minuto. In questa fase di scelta/scarto entrano in gioco tanti fattori, alcuni più istintivi, altri più razionali e molti legati alla memoria che fa leva su quello che abbiamo acquisito come abitudine, ma anche come valori di marca, ma è chiaro che la competizione in questa “battaglia visiva” ha bisogno di armi molto forti per non rischiare di essere scartati senza appello. Tecnicamente, si usano dei segnali in grado di catturare e stimolare l’attenzione, chiamati “trigger”, che possono essere intercettati con uno qualsiasi dei sensi (o più di uno), ma serve verificarne l’efficacia con misurazioni, analisi, confronti.
Non è una battaglia facile, stiamo parlando di un livello di attenzione che è misurabile quando va bene in 2-4 decimi di secondo, e che può ridursi a 100 o 200 millisecondi. Possiamo permetterci di sbagliare? Di rischiare? Di non avere il completo controllo di quello che “effettivamente” vedranno i consumatori?E, torniamo a dire, non solo con gli occhi, ma con la parte del cervello più istintiva e che governa maggiormente le decisioni, sebbene in perenne conflitto con la componente razionale. Ci sono zone del cervello più primitive, come quello che viene definito “cervello rettiliano” che innesca il primo livello di decisione, che poi si confronta con l’amigdalache è quella parte del cervello dove viene gestita la componente negativa e la paura, e solo successivamente passano ai centri decisionali del sistema limbico, anche definito “emotivo” che arriva a categorizzare i messaggi ricevuti in positivi (piacevoli) e negativi (sgradevoli) e ne registra tali scelte.
Quand’è l’ultima volta (o la prima) che una scelta che la vostra azienda ha fatto per lanciare un prodotto o una strategia ha avuto modo di verificare realmente come il cervello dei consumatori rispondeva a tali proposte?E quando è stato fatto affidamento a tali misurazioni per arrivare ancor prima, ovvero a progettare (inventare) nuovi prodotti e nuovi servizi? Perché non si può pensare di avere successo rispondendo a delle evidenti e dichiarate esigenze già espresse dal mercato iniziando in quel momento la progettazione o lo sviluppo di un prodotto in grado di soddisfare tale esigenza: il percorso deve essere fortemente anticipato, e quindi predetto.
Oggi, la tecnologia offre una sfera di cristalloche non ha forse quell’aura magica dei tempi dei druidi e degli stregoni, ma permette di capire quello che i consumatori hanno nella loro mente, cosa e come davvero – non a parole, ma connettendosi direttamente con le parti più profonde delle loro emozioni – percepiscono, apprezzano o sentono avversione per quello che vogliamo vendere loro. Le principali aziende al mondo, quelle che stanno dominando i mercati, hanno da tempo imparato ad adottare questi strumenti potentissimi; la grande sfida e opportunità però oggi è quella di aprire questo orizzonte di potenzialità ad un mercato molto più ampio, perché il grande valore del mercato, aperto e globale, è quello di consentire a tutte le attività e a tutti i prodotti che hanno un forte potenziale, di trovare il successo; un successo sicuro, perché tutte le fasi del loro sviluppo saranno state verificate – addirittura disegnate – sulla base di precise risposte, e gli investimenti per ottenere queste certezze saranno ampiamente coperti dal risultato commerciale che ne deriverà e dal tempo risparmiato per immetterlo sul mercato, prima della concorrenza e nel perfetto momento di ricezione da parte degli utenti.
Nelle pagine successive, vi parleremo delle tecnologie che Qwince mette a disposizione, esempi e case histories che mostreranno come il mondo già oggi fa uso, con successo, di queste innovazioni e di come potreste, oggi stesso, trarne profitto per lo sviluppo della vostra attività e per il vostro futuro.

 

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